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venerdì 8 gennaio 2010, di jean-Noël GEORGES
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Dove imparare la nostra lingua è una moda

Dove imparare la nostra lingua è una moda

Giappone, scelta per 500 mila

Il successo Tokio, marzo 2001, la serata inaugurale della manifestazione «Italia in Giappone» Abitudini L’ italiano usato per prodotti industriali o nelle insegne dei negozi

Se esiste un libro dei sogni per la cultura italiana all’ estero, questo si trova senz’ altro in Giappone: è laggiù che si vede come potrebbe essere la nostra immagine nel mondo, se la sfruttassimo in pieno. Così infatti è avvenuto nel 2001, in occasione dell’ iniziativa «Italia in Giappone», quando il paese del Sol levante venne inondato da circa ottocento eventi distribuiti su quindici mesi, con più di cento milioni di contatti. O in occasione di grandi mostre: due anni fa, con l’ Annunciazione di Leonardo capace di attirare quasi novecentomila visitatori; o anche quest’ anno, con l’ esposizione sull’ impero romano.

Del resto, bastano le cifre attuali degli studenti di italiano - che il direttore dell’ Istituto di Tokio, Umberto Donati, fornisce senza enfasi - per rendersi conto della portata indiscutibile del fenomeno. Seimila iscritti ai corsi trimestrali organizzati direttamente dall’ Istituto, con un occhio particolare all’ eccellenza e alla «fidelizzazione» degli studenti, insistendo sugli approfondimenti e sui corsi di cultura avanzata. Poi, a un livello più popolare, ci sono le lezioni di italiano organizzate dalla televisione e radio pubblica Nhk (più o meno equivalente alla nostra Rai) rispetto alle quali le vendite abbinate dei testi per la grammatica e gli esercizi fanno ipotizzare (per difetto) l’ esistenza di circa duecentomila studenti. Ancora: ottantamila giovani studiano l’ italiano presso scuole e università che ne prevedono l’ insegnamento (sono centoventi).

Aggiungiamo duecento scuole private in tutto il Paese, dove troviamo altri cinquantamila allievi, e infine coloro che scelgono lo studio solitario della lingua, spesso motivato dalla passione per la musica lirica, la cucina o semplicemente perché lavorano nei numerosi ristoranti italiani (sono tremila nella sola Tokio). Così si arriva a un dato complessivo compreso fra i quattrocentomila e il mezzo milione di giapponesi che, a vario titolo e in forme diverse, hanno un rapporto con la lingua italiana. Esaurito il boom degli anni Ottanta e Novanta, si può forse parlare - spiega il direttore Donati - di un calo dei principianti, ma di un sensibile rafforzamento del legame con l’ Italia da parte dei progrediti. Non più dunque, come in passato, corsi brevi e immersioni nella lingua per qualche mese soltanto, ma partecipazione attiva a corsi sulla civiltà classica, l’ arte, l’ opera, la gastronomia, la storia, la letteratura. Con alcuni cammei culturali che danno il senso dell’ innamoramento giapponese: corsi di ricamo al punto antico per signore, di chitarra per giovani e poi di incisione e gioielleria. E ancora, sessioni di lingua col karaoke o con il metodo sperimentale della «suggestopedia». Perché quando si ama una cultura - ecco il fulcro dell’ insegnamento che viene dal Sol levante - si ammira tutto ciò che vi è mentalmente associato: eleganza, bellezza, raffinatezza, il gusto idealmente «rinascimentale» di vivere. Un sentimento abbastanza diffuso da esprimersi visibilmente nel panorama urbano nipponico: l’ italiano è usato assai spesso nelle insegne degli esercizi commerciali (ristoranti, bar, negozi) e per battezzare prodotti industriali (l’ auto «Serena» della Nissan, i termini «premio», «porte», «passo» per la Toyota; una moto della Yamaha è diventata addirittura «Dio». E non si contano le riviste dai nomi italiani: «Uomo», «Ciao», «Grazia», «Viaggio»). Probabilmente è da qui, da questa passione giapponese e dall’ uso non solo pratico della nostra lingua, che si deve partire per spiegare - come sottolinea l’ ambasciatore Vincenzo Petrone - il fenomeno degli eventi concepiti dall’ Italia ma finanziati prevalentemente sul mercato giapponese (soltanto quest’ anno per due milioni e mezzo di euro). Succede infatti che i grandi giornali come lo Yomiuri Shimbun o le televisioni pubbliche e private organizzino direttamente grandi eventi, si preoccupino di trovare gli sponsor tra i loro inserzionisti e raggiungano il pareggio economico tramite la vendita di biglietti, cataloghi e merchandising. Significativo qui il ruolo della Fondazione Italia-Giappone, presieduta dall’ ambasciatore Umberto Vattani, dove convivono enti e aziende pubblici e privati.

Fertilio Dario -Corriere della Sera-